Lucio Fontana (pseudonimo di Luigi Lucio Fontana) nasce a Rosario di Santa Fé, in Argentina, il 19 febbraio 1899 da genitori italiani. Si trasferisce in Italia per compiere gli studi, stabilendosi a Castiglione Olona (Varese), dove inizia la pratica artistica nel laboratorio del padre, scultore anch’egli rientrato dalla diaspora. Nel 1916 interrompe gli studi per arruolarsi volontario nell’esercito italiano durante la Prima guerra mondiale; viene ferito sul Carso. Tornato alla vita civile, consegue il diploma di perito edile. Nel 1921 rientra in Argentina e lavora nello studio paterno Fontana y Scarabelli, dedicandosi alla scultura funeraria. Nel 1924 apre un proprio atelier, ottenendo le prime commissioni e vincendo diversi concorsi pubblici. Nel 1927 fa ritorno in Italia e si iscrive all’Accademia di Brera, dove segue i corsi di Adolfo Wildt presso la Scuola del Marmo, diplomandosi nel 1929 con la scultura El auriga. Nei primi lavori è evidente l’influenza del maestro, ma già nel 1930, con Uomo nero, Fontana inizia a distaccarsene. Il 1930 è un anno centrale: partecipa alla XVII Biennale di Venezia, esponendo Eva (1928) e Vittoria fascista (1929), e tiene la sua prima personale alla Galleria del Milione a Milano, su iniziativa di Edoardo Persico. Con Uomo nero si avvia una nuova fase di ricerca sulla figura umana, rappresentata attraverso sagome geometrizzanti, sviluppata poi in disegni e tavolette graffite. Nel 1934 realizza una serie di sculture astratte in gesso e fil di ferro: opere fondamentali nel percorso dell’artista. Tra il 1935 e il 1939 si stabilisce ad Albisola, ospite del ceramista Giuseppe Mazzotti, dedicandosi alla sperimentazione con la ceramica. Nel 1940 realizza opere in mosaico policromo e firma la sua prima opera ambientale: il fregio Volo di Vittorie per il Sacrario dei martiri fascisti in piazza San Sepolcro a Milano. Nello stesso anno torna in Argentina per partecipare al concorso per il Monumento Nacional a la Bandera. La sua attività artistica prosegue con successo, mentre si dedica all'insegnamento del "modellato" tra Santa Fé e Buenos Aires. Nel 1946 fonda con Jorge Romero Brest e Jorge Larco la "Altamira, Escuela libre de artes plásticas", importante centro culturale. In questo contesto innovativo nasce, nel novembre dello stesso anno, il Manifiesto Blanco, pubblicato come volantino, che segna una svolta fondamentale nella riflessione sull’arte contemporanea. Nello stesso periodo, in alcuni disegni appare per la prima volta l’espressione "Concetto Spaziale", destinata a diventare centrale nella sua opera. Nel marzo 1947 rientra in Italia, nuovamente ad Albisola, dove riprende l’attività ceramica. A Milano entra in contatto con un gruppo di giovani artisti, con i quali firma nel dicembre 1947 il primo Manifesto dello Spazialismo, insieme al critico Giorgio Kaisserlian, al filosofo Beniamino Joppolo e alla scrittrice Milena Milani. Nel 1948, con la seconda stesura del Manifesto, si afferma l’idea di superare la tradizione artistica passata, “facendo uscire il quadro dalla sua cornice e la scultura dalla sua campana di vetro”, aprendo l’arte ai nuovi strumenti offerti dalla tecnica. Il 1949 è un anno decisivo: alla Galleria del Naviglio presenta Ambiente spaziale a luce nera, installazione immersiva con elementi fosforescenti sospesi in uno spazio completamente oscuro. Parallelamente, inizia il ciclo dei Buchi, in cui la tela è trafitta da fori disposti secondo un ritmo interno, in dialogo con l’intervento cromatico. All’inizio degli anni Sessanta si concentra sulla serie degli Olii, tele a forte impasto materico attraversate da buchi e tagli. La sua inesauribile vena creativa trova ampio riscontro in mostre personali a Milano, Venezia, Tokyo, Londra e New York. Fra le serie più significative di questo periodo vi è Le Fine di Dio (1963-1964): grandi tele ovali monocrome, talvolta ornate da lustrini, attraversate da lacerazioni e fori. Fontana riceve importanti riconoscimenti internazionali: espone al Walker Art Center di Minneapolis, alla Marlborough Gallery di New York, alla Galerie Iolas di Parigi, e nel 1966 ha una sala personale alla XXXIII Biennale di Venezia, dove collabora con Carlo Scarpa alla creazione di un ambiente spaziale, premiato dalla giuria. Nel 1967 continua la sperimentazione monocroma con la serie delle Ellissi. All’inizio del 1968 lascia lo studio di Corso Monforte a Milano per trasferirsi a Comabbio (VA). Muore a Varese il 7 settembre dello stesso anno.