Tullio Garbari

Pergine Valsugana, 1892 – Parigi, 1931

Artist's biography

Tullio Garbari, primogenito di sette figli, nasce a Perigine in provincia di Trento il 14 agosto. I suoi genitori gestiscono una trattoria e un piccola bottega alimentare. Nel 1908 convince i suoi genitori a concedergli di iscriversi all'Accademia di Venezia, poco dopo abbandona l'Accademia per unirsi alla cosiddetta "secessione di Cà Pesaro". Di questi anni sono le sue prime mostre, come l'Esposizione Internazionale di Roma, e anche i primi scritti, pubblicati, su "La Voce". Dopo dei brevi soggiorni a Firenze, Tullio Garbari si trasferisce a Milano con i suoi fratelli, partecipando assiduamente alle esercitazioni militari del gruppo interventista di cui faceva parte. In questo periodo tiene alcune mostre di cui la più importante per la sua arte fu quella del 1917 alla Galleria Chini dove espose con Carlo Carà. Nel gennaio 1919, dopo la fine della guerra che si era portata via un suo fratello e ne aveva ferito gravemente un altro, tornò a Pergine e si riunì alla famiglia.  Fino a quel momento l’artista era stato a Milano e proprio in questa città ebbe la sua svolta espressiva grazie l’assidua frequentazione con Carrà che iniziò nel 1910.  Il salto nella cultura arcaica avviene proprio grazie questo incontro, anche se successivamente le due strade divergeranno. Infatti se il primitivismo di Carrà è più che altro una questione di ispirazione formale, quello di Garbari invece è frutto di una studio sull’espressività emotiva e passionale dell’arte arcaica ma soprattutto di quella popolare.

Negli anni tra il 1919 e il 1927 Garbari partecipò con durezza ai dibattiti sulla provincia trentina appena annessa all'Italia. Sostenne l'italianità, ma senza fanatismi nazionalistici. Nel 1924 si trasferì a Trento, dove soffrì la fame. Venne invitato ad unirsi al movimento del "Novecento Italiano", ma le caratteristiche di tale raggruppamento di artisti lo convinse della sua estraneità a quella che era diventata quasi l'arte ufficiale del fascismo.

Nel 1927 riprese a dipingere a pieno ritmo, dopo una parentesi in cui si dedicò soprattutto allo studio, indirizzandosi verso una pittura completamente autonoma rispetto ai movimenti artistici coevi. È a partire proprio da quest’anno che le tutte le esperienze precedenti giungono a piena maturazione e sbocciano in una pittura di rara ricchezza e intensità. Tra il surrealismo, che è un urto delle idee nell’essere, e il realismo trascendentale, che è lo scontro dell’essere con le cose, Garbari si era costruito un sentiero con mezzi profondamente spirituali e umani.

Sempre nel 1927 espose a Milano, Amburgo, Berlino, L'Aia, Amsterdam e nel gennaio 1928 a Lipsia. Dipinse molte scene di vita contadina e popolare. Nel 1928 partecipò alla XVI Biennale di Venezia. Dipinse da quell'anno molti quadri di carattere sacro e popolare. Nel 1929 espose al Circolo sociale di Trento. L'anno successivo espose a Milano alla galleria Bardi e nel 1931 alla Quadriennale di Roma e alla Galleria del Milione diretta da Edoardo Persico. In questo periodo nacquero le sue più grandi opere.

Nel marzo 1931, già riconosciuto dalla critica tra gli autori della nuova pittura europea contemporanea, partì per Parigi, spinto dal sogno di incontrare Maritain. Qui lo raggiunse Dino Garrone, incontrato l'anno prima, e frequentò Gino Severini, con cui condivideva posizioni artistiche e filosofiche. Espose alla Galérie de la Renaissance. Lavorò con assiduità fino alla morte, avvenuta improvvisamente l'8 ottobre 1931, a 39 anni di età.

“Le ultime opere di Garbari resteranno come i documenti più significativi di un temperamento sottile ed implacabile, come le testimonianze di una vita cristiana, fatta di aspirazione e autocritica. Si potrà leggere in esse un’autobiografia squallidamente cruda. Poche epoche hanno avuto, infatti un esempio di così esagerata e prolungata riflessione: è per questo che la memoria di Garbari provoca un affetto che va anche al di là dell’uomo ed afferma in rispetto doveroso per una volontà eroica” (Persico)

La famiglia, come molte altre opere della sua produzione matura sostituiscono ai temi religiosi composizioni di ampio respiro, complicate da personificazioni mitologiche e bibliche. Sebbene alcuni critici leggessero in tali opere tematiche bucoliche e antiche, molto diffuse a quel tempo, il quadro porta con se un’impronta di inedita crudezza espressiva ed esplorazione simbolica difficilmente rintracciabile nel contesto pittorico dell’epoca.  Le finezza della linea avvolge la monumentalità dell’immagine, tutto è reso gioioso, trionfante in questa rinnovata forza cromatica. Quasi avesse rimeditato Segantini nell’intonazione accesa, squillante e minerale degli alti pascoli. I colori così armoniosi e squillanti sembrano riproporre e evocare la ricchezza nella varietà del creato. La composizione procede per una semplificazione di schemi e di campi cromatici soltanto apparente; l’intonazione luminosa infatti, viene via via superando le contrapposizioni e unificando la gamma ma, nel suo interno, ogni campo cromatico subisce un apprendimento di grande profondità a cui corrisponde concettualmente un’affermazione di assoluta coerenza.

“Lo sforzo di semplificazione e di purificazione interna che si trova nell’opera di Garbari e la sua costante intenzione di mettere in essa un ricco contenuto spirituale lo conduce, per così dire, automaticamente verso uno dei fini più nobili e, nello stesso tempo, dei più attuali: e cioè quello di toccare le intelligenze della folla, nello stesso tempo che quelle della cosiddetta élite” (Severini).