Scipione

Artist's biography

Gino Bonichi, detto Scipione, è nato a Macerata nel 1904 ed è morto ad Arco di Trento nel novembre del 1933. Scipione fu lettore instancabile e curioso. La letteratura arricchiva il suo immaginario, lo aiutava a “provocare e a identificare i propri fantasmi, a ordinare una realtà sbriciolata, a sollecitare continue variazioni sul tema depurandole di volta in volta, ora metafora ora allegoria, ora evocazione ora provocazione”. La sua necessità di tradurre in immagini ciò che leggeva era per lui uno stimolo alla creazione di un personale universo popolato di simboli e allegorie. Lontano da qualsiasi intento illustrativo, Scipione “si affida all’immaginazione, lascia correre la fantasia”. Giuseppe Iannaccone scrive: “Mi sono sempre piaciute le persone capaci di emozioni forti, e soprattutto quelle che riescono a esprimerle. Scipione era uno di quelli. Non aveva limiti, non aveva tabù. Nelle sue opere non si riconosce solo il grande pittore e il grande poeta che è stato, ma prima di tutto la sua vitalità di uomo, il suo entusiasmo nei confronti dell’esistenza in tutte le sue manifestazioni, nonostante la morte incombente. Esprime nei suoi lavori l’amore per la vita tramite il suo opposto, tramite la paura di perderla". Negli anni ha collezionato un buon numero di disegni, frutto della sua straordinaria immediatezza d’invenzione, un’interessante tavola giovanile raffigurante un Angolo di Collepardo dove era solito passare l’estate per curarsi e il Profeta in vista di Gerusalemme. “venne fuori un altro cavallo, rosso; e a colui che lo cavalcava fu dato il potere di togliere la pace dalla terra affinché gli uomini si uccidessero gli uni gli altri”. Il profeta, con le mani giunte e rivolte al cielo, pare implorare il Signore come l’artista alla fine dei suoi giorni: “Castigami, che io senta le mie colpe, in vita; ma voglio la salvezza. Voglio dormire puro come il pane. Voglio gettarmi sulla terra senza contaminarla. Fa’ che io possa avvicinarmi a te. Dammi la forza per vincere”. I pochi elementi disseminati nel paesaggio afoso e desertico, il bucranio, il serpente strisciante tra le zampe del cavallo, l’albero rinsecchito, sono il simbolo di quel dolore che l’artista vuole vincere. Scipione “cerca la resurrezione, vagheggia un’età nuova, vuole sfuggire agli oscuri atomi del male che lo attanaglia”. Il pittore accentua in questo dipinto l’uso dei “graffi”, ottenuti sulla tavola raschiando la materia con il manico del pennello. I solchi delle linee, provocati sul colore appena steso, amplificano l’aridità del paesaggio bruciante. L’opera fu presentata per la prima volta nel novembre del 1930 alla Galleria di Roma, dove Scipione espose con Mafai. La mostra, organizzata da Pier Maria Bardi, fu per i due una “vera rivelazione”.