Giuseppe Migneco

Artist's biography

Giuseppe Migneco è nato a Messina nel 1908 e morto a Milano nel 1997. La sua pittura si manifesta nei primi anni quaranta con una “pennellatura lunga, aggressiva, di preferenza verde, tra cui fili di giallo cromo vibrano”. Questo tratto libero e violento risente chiaramente dell’eco di Van Gogh, per quanto Migneco avesse conosciuto il maestro olandese solo per mezzo di riproduzioni. Umberto Silva individuò poi altre influenze: “Il suo orrido si richiama come interesse morale, allo sviluppo d’un Rouault e d’un Soutine, piuttosto che alla pura maschera espressionistica; è un orrido invero che stigmatizza come nelle composizioni Natura morta con maschere o l’uomo dal dito fasciato in cui ogni minimo particolare ricopre un ruolo allusivo e metaforico. Il rosso nel ritratto dell’uomo fa da contraltare al minaccioso quanto inusuale nero della fasciatura di cui parla il titolo, e in cui De Micheli vide una riproposizione dell’Uomo col guanto nero di Levi. Le ansie e le incertezze che caratterizzano la sua esistenza, e che arrivano a menomarlo anche nel fisico (non a caso la mano fasciata è la destra, quella dell’azione e del dipingere), vengono tuttavia stemperate da questo barlume di speranza. La storica dell'arte Elena Pontiggia vede nella contrapposizione fra il rosso e il nero un’allegoria dell’eterna lotta fra Eros e Thanatos, laddove il dito nero fasciato rimanda a un inconscio simbolo fallico. Per Fagone invece la chiave interpretativa è nei fiori, offerti dalla mano ferita: “Forse è un’immagine-specchio del pittore che porta con sé dolcezze aspre”, una metafora del ruolo del pittore, ma anche del poeta che, come recitava Montale, vorrebbe non gli fosse chiesta la parola. Per Migneco un soggetto amoroso può divenire tragicamente grottesco, come nel ritratto di una coppia di amanti, nel quale in realtà ben pochi elementi riconducono a un ménage amoroso. L’uomo pare quasi agonizzante, la posa è innaturale, e persino i fiori che deve aver portato come cadeau all’amata sono secchi e rattrappiti. Il motivo del parco, ricordato dal titolo originario dell’opera, Sedile al parco, col quale venne indicata nel catalogo della personale di Migneco alla Galleria Genova nel 1940, è del tutto secondario nella composizione, e viene anzi snaturato da quella cancellata che rammenta dolorosamente le sbarre di una prigione, piuttosto che lo svago di una passeggiata pomeridiana. Il sentimento di angoscia e oppressione viene amplificato dalla scelta compositiva di Migneco, per la quale neanche un centimetro della tela è risparmiato da questa sorta di horror vacui, e le lingue di colore si impossessano dell’immagine coi loro grafismi e ghirigori. Beniamino Joppolo descrisse con queste parole il procedimento operativo del pittore messinese: “Migneco è per istinto portato a ricondurre il mondo in forma e colore a caos per poi ricostruirlo in una sua nuova visione di forma e colore, come a dire che il pittore prende spunto della realtà, per tornarvi solo dopo una sofferta rielaborazione personale, nata da un “bisogno di liberarsi”.