Mario Mafai

Artist's biography

Mario Mafai è nato a Roma nel 1902 dove è morto nel marzo del 1965. Nonostante la madre lo avvii a studi tecnici, lui introverso e fantasioso si iscrive alla Scuola Libera del Nudo dove conosce nel 1924, quello che poi sarà l’amico di una vita, Gino Bonichi. Un anno dopo arriva in accademia, creando gran scompiglio, una lituana ebrea vissuta a Londra: Antonietta Raphaël. Tra lei e Mafai si crea fin da subito un legame speciale e nel 1929 insieme a Gino Bonichi, detto Scipione, formeranno un trio artistico inossidabile che Roberto Longhi definì “La Scuola di Via Cavour” dal nome della via in cui abitavano la coppia Mafai-Raphael e che Scipione frequentava assiduamente. Le visioni romantiche di Mafai nascevano dalle passeggiate lungo i Fori Imperiali in compagnia della moglie Antonietta e dell’amico Scipione. Come un “cacciatore con il lapis in mano”, il pittore traduceva ciò che vedeva in schizzi istantanei, rielaborandoli nello studio di via Cavour. Nei suoi primi paesaggi, fra cui Strada con casa rossa, si riconosce la capacità di Mafai di fantasticare, di rifugiarsi nelle piccole cose, creando un’alternativa al “paesaggio angoloso del Novecento europeo”. Il cielo di questa strada con casa rossa, con quei colori brillanti, illumina la composizione. Il fulcro visivo è la minuta casina rossa in fondo a quel viottolo che gira, a sinistra dell’uscita dalla passeggiata delle Terme di Caracalla. La villa, sospesa in mezzo agli alberi trattenuti a fatica dal muricciolo, pare quasi irraggiungibile. Un anno più tardi nasce il Tramonto sul lungotevere che segna definitivamente il passaggio dalla “veduta” alla “visione”, rielaborando i paesaggi romani in una versione consapevolmente trasognata. Una prospettiva arbitraria e cadente restituisce il panorama situato oltre il Ponte Garibaldi, con la folta macchia dell’Aventino e le architetture instabili in lontananza. La disintegrazione dello spazio, che pur mantiene un suo equilibrio grazie alla calibrazione di macchie scure e luminose, è una derivazione delle suggestioni di Chagall, ispirate dai racconti della sua compagna Antonietta Raphaël. Le improvvise accensioni di colore e il gioco sapientemente bilanciato del controluce, usati dall’artista per trasfigurare i tramonti di una Roma affocata e rovente, derivano dallo studio instancabile dei pittori veneti e di El Greco, cui in gioventù Mafai si era dedicato insieme a Scipione. Interessante è il confronto che il collezionista ha voluto offrire aggiungendo alla sua raccolta il dipinto con cui il pittore ritrae, a più di dieci anni di distanza, la medesima veduta del Lungotevere, e che risente nell’impostazione del diverso clima storico-politico, accostandosi alle Demolizioni. Dopo un anno passato a Parigi con la compagna e artista Antonietta Raphaël, la nascita di tre figlie, la morte nel 1933 del suo grande compagno di vita e di passioni, Mario rimane solo e nonostante il clima politico e culturale divenga sempre più cupo, continua a dipingere. "Per reagire al dilagante individualismo di quei giorni, troppo facili ed euforici, volli configurare uomini e donne non individuati ma generici, anonimi, immagini di un'umanità nuda, còlta nella sua terrena condizione esistenziale" ed è in questo clima che nasce un Doppio ritratto che l'anno successivo, nel 1934, partecipa alla Biennale di Venezia e in cui si riconosce perfettamente il volto dell'artista in primo piano mentre, dietro di lui, la figura femminile appare avvolta nel mistero seppur riconducibile ad un volto famigliare.Anche i fiori in questi anni progressivamente stingono, si afflosciano, sfioriscono. E’ per Mafai un modo di riflettere sull’inesorabile trascorrere del tempo, di contemplare il proprio destino. “I fiori di Mafai […] non hanno proprio nulla da spartire coi fiori ‘raffinati’ e pettegoli di De Pisis […]. Nulla come questi fiori, dà la chiave dello spirito pittorico poetico di Mafai, segreto della sua intimità e della sua misteriosità”, scrisse Roberto Melli. Nel mazzo di garofani e mammole della collezione Iannaccone, i petali e i gambi sono descritti esclusivamente dalle corpose pennellate, il cui impasto freme alla ricerca della sfumatura desiderata. Una luce piena e solare colpisce lo sfondo, che pare quasi intonacato, permettendo di godere a pieno delle minime vibrazioni tonali del dipinto. Se ne accorse Renato Guttuso, che definì questi Garofani bianchi, allora in collezione Natale, “la più acuta ed estenuata esperienza pittorica di Mafai, dove la vibrazione tonale batte di bianco in bianco con scarto di millesimi, e la materia, pur spessa, è ridotta a fiato”. Cesare Brandi vide poi in quel “cornetto” creato dalla carta che racchiude il bouquet una reminiscenza di Giorgio Morandi, cui sicuramente Mafai aveva guardato, pur muovendosi in una diversa direzione e optando per “un colore quasi liquido e trasparente, [e] come una nebbia che fluttui nell’aria, donde il bianco dei garofani è attutito, quasi spento”.