Renato Guttuso

Bagheria, 1911 – Roma, 1987

Artist's biography

Renato Guttuso è nato a Bagheria, provincia di Palermo il 26 dicembre 1911 anche se la registrazione della nascita avviene in data 2 gennaio 1912 e muore a Roma il 18 gennaio 1987. “Ero andato via dalla Sicilia nel gennaio 1931 perché due miei quadretti erano stati accettati alla prima Quadriennale. Da allora furono anni di vita difficile e difficilissima, a Roma, a Perugia, a Milano. Nel 1941, il pioniere del collezionismo italiano, l’ing. Alberto Della Ragione, mi offerse un contratto che mi permise di vivere umanamente e di lavorare senza preoccupazioni. Poi la guerra e la resistenza.” La “poetica realista, o poetica della naturalezza”, affermava Guttuso, “secondo noi è l’unica poetica possibile, cioè quella più coerente al concetto di libertà creativa e più direttamente riferentesi al sentimento. Una poetica che esclude le preoccupazioni di una raffinatezza plastica a cui sia pretesto una qualsivoglia logica di figurazione. Esiste infatti un mondo della poesia che è immutabile perché è il mondo immutabile dell’uomo e al di fuori del quale nulla più esiste: il rapporto tra l’uomo e la sua società, l’uomo e la donna, l’uomo e gli elementi, la natura e il destino.” I primi anni quaranta erano tempi duri e la gente preferiva appendere alle pareti quadri piacevoli piuttosto che di concetto. Per Guttuso, al contrario, un quadro doveva raccontare quello che stava accadendo. Iniziò così una lunga osservazione delle cose reali, dando vita a quella fitta galleria di nature morte in cui si delineano le caratteristiche del suo stile. La natura morta diviene il banco di prova per le sue ricerche sulla forma e sul colore. Guttuso si serve di una certa forzatura dei volumi di ispirazione cubista – è chiara l’influenza del Picasso di Guernica, di cui l’artista custodiva una riproduzione nel portafoglio – senza toccare però gli esiti estremi dell’avanguardia, e racchiudendo i suoi oggetti in forme che risultano chiuse e compatte, nonostante la deformazione. I suoi interni raccolti e quotidiani traboccano di oggetti dalla notevole consistenza materica, quasi tangibile, in virtù anche dell’utilizzo di una pennellata decisa e robusta. La sua potenzialità espressiva si esplica nel contrasto stridente di tonalità pure, gialli pieni ed energici, rossi avvampanti e blu intensi. Le prospettive sono spesso ristrette e gli ambienti appena accennati perché l’attenzione si concentri sugli oggetti, accatastati sul tavolo in composizioni disordinate e casuali, che in realtà Guttuso assembla con cura nel proprio studio e poi ritrae con combinazioni sempre differenti. Nella Finestra blu, il drappo rosso, che ricorre in numerosi dipinti, emerge in primo piano assumendo il ruolo di bandiera ideologica, divenendo un rosso di speranza più che di violenza. La bottiglia a spirale di opaline dimostra invece il contatto con le composizioni di Giorgio Morandi, col quale Guttuso non ignorava “un rapporto dialettico”, nonostante la sua generazione si trovasse in posizione polemica nei confronti del maestro. Al di là della citazione morandiana, i due ben più popolari fiaschi di vino rimandano ancora una volta alla dimensione quotidiana, all’esigenza di Guttuso di raccontare la vita. Altri oggetti cari alla figurazione guttusiana compaiono nella Gabbia bianca e foglie, dove ritorna in particolare il motivo della gabbia, come sempre vuota, e qui significativamente aperta, metafora di una fuga o di una liberazione. Di Renato Guttuso, il collezionista Giuseppe Iannaccone ha scelto, oltre alle nature morte, anche alcuni eccezionali ritratti: quello della sua compagna Mimise, quello di Mario Alicata e uno tra i più intensi: quello di Antonino Santangelo, rappresentato a mezza figura, seduto, col torace flesso in avanti e le braccia poggiate sugli arti inferiori. Le mani, quasi sproporzionate, sono impegnate a reggere un libro interrotto a metà, fra le cui pagine forse si può scorgere la ragione di quel volto cupo, preoccupato, quasi rassegnato ai suoi stessi pensieri. La somiglianza col soggetto è straordinaria, tanto che Roberto Longhi scrisse per il necrologio del critico: “Chi lo voglia rivedere intero, in tutti i suoi aspetti, non ha che a guardare il ritratto fattogli da Guttuso nel 1942”.