Arnaldo Badodi

Milano, 1913 – Kameškovo, 1943

Artist's biography

Arnaldo Badodi è nato a Milano nel marzo 1913 ed è morto a Kamenskovo nel 1943. In collezione Iannaccone sono racchiusi armadi da cui straripano abiti fuori moda, giovani donne sedute a far bella mostra di sè immerse nei loro pensieri davanti a un bicchiere di Campari; odalische e saltimbanchi delusi e inquieti sul palcoscenico a raccontare una favola fuori dal tempo e piccole figure dipinte attorno ad un tavolo da biliardo al dopolavoro ferroroviario. Persone comuni che fanno grande questo piccolo mondo e che secondo l’artista sono le uniche degne di essere rappresentate. Nella sua camera da letto, il cui spazio ristretto è descritto dall’angolo creato dalla libreria e dal divano, vi è un cappotto accompagnato da una serie di oggetti abbandonati frettolosamente e in disordine che, sostituendosi alla figura di donna, dona al dipinto un sottofondo di lieve inquietudine. Il soprabito pare essere animato, con quella manica sinistra che cadendo dal letto non ne segue i profili, ma resta sospesa. Il suo occhio, con quella costante inquadratura “fotografica”, un tenero omaggio al padre “ritrattista dell’obiettivo” dei signori della vecchia Milano, è compassionevole, bonario, contraddistinto secondo il critico Marco Valsecchi da “un’ironia charlottiana profondamente patetica, fatta di quell’incrocio indistinto fra sorriso e compatimento che Charlot espresse in maniera indimenticabile nella famosa danza dei panini nella Febbre dell’oro o negli ultimi fotogrammi del Circo, quando l’omino è solo sulla strada infinita”. L’artista Piero Gauli lo ricordava “ancora fieramente in sella alla “Bianchi superlusso” […] pedalare per via Senato, corso Venezia, via Spiga, via S. Andrea, come in una parata d’addio che l’avrebbe condotto, le piume al vento, nell’uniforme del 3° Bersaglieri, lontano fino a svanire nella tremendità, lui bruno, di una dissolvenza tragicamente bianca”. Muore disperso in Russia e lui lo sapeva. Lo racconta in un dipinto gelosamente nascosto sul retro di un Caffè e intitolato il Suicidio del pittore. Secondo Giuseppe Iannaccone “nel Suicidio l’artista si impicca per porre fine alla sua emarginazione, mentre nel Caffè, pur tra la moltitudine che affolla il locale, ogni persona sembra chiudersi nella propria dimensione, seguendo il nulla con lo sguardo. Credo che Badodi, di carattere schivo, provasse questa solitudine in prima persona: solo con la pittura riusciva a esprimere ciò che provava, come accade in queste due tavole, che raccontano del triste presagio di morte che lo tormentava. La sedia vuota del caffè indica chiaramente un’assenza. Ma chi manca? Non è forse l’artista impiccatosi nella scena del Suicidio? Fu proprio questo intrigo, questo doppio presagio, che mi convinse a non dividere mai i due dipinti. Badodi li aveva voluti insieme e dividerli sarebbe stato come tradirlo. E pochi anni dopo il povero Badodi, appena trentenne, morì davvero in guerra”.