Zehra Doğan è nata a Diyarbakır, in Turchia, nel 1989, ha conseguito la laurea all’Accademia di Belle Arti di Dicle (Turchia) ed è stata la co-fondatrice, nel 2010, di JINHA, la prima agenzia di stampa totalmente femminile. Doğan si è resa nota a seguito del suo arresto, e successiva condanna di due anni di prigionia nel 2017, per aver partecipato all’attivismo e alla resistenza politica. La ragione, nello specifico, fu la pubblicazione, attraverso i social media, di un suo dipinto che rappresentava la distruzione della città di Nusaybin: quest'evento, uno tra i tanti nel sud del paese, era una condanna nei confronti degli scontri tra le forze militari turche e quelle curde. Le opere dell’artista, infatti, sono una denuncia degli abusi di potere perpetrati dai turchi nei confronti delle comunità curde, a cui lei appartiene nonostante la cittadinanza turca. Il suo lavoro è un’acuta sintesi tra una dimensione personale e le problematiche politiche e sociali contemporanee, tra la sua storia di sofferenza e coraggio e quella delle donne che ha incontrato lungo il suo percorso. L’opera Kismet (2020), un acrilico su tappeto – bruciato per sottolineare la caducità e la minaccia rivolta alla produzione dell’artista – vede come protagonista una donna soldato che guarda senza speranze verso l’alto. La pistola da cui fuoriesce del sangue è il simbolo dell’inutilità della guerra, così come lo è il pesce poggiato sulla sua testa, simbolo cristologico già ai tempi delle persecuzioni cristiane, è oggi vinto, inerte, immobile, incapace di comprendere l’origine di tanta inumanità. Fa parte della Collezione anche Kurdistan 4 (2020).