Cindy Sherman nasce nel 1954 a Glen Ridge, New Jersey e nel 1972 si iscrive al dipartimento di Arti Visive della Buffalo State University, dove inizialmente studia pittura per poi dedicarsi alla fotografia. Il lavoro dell’artista innesca dei cortocircuiti visivi attraverso immagini che sfidano il rapporto e il confine tra identità e rappresentazione, concentrandosi in particolar modo sullo stereotipo della donna, plasmato dai vari strumenti di comunicazione, come la cinematografia, le riviste di moda e più in generale, i mass media che dilagavano alla fine degli anni ‘70 negli Stati Uniti, così come nel resto del mondo. Il lavoro di Cindy Sherman svela le costruzioni culturali, politiche e sociali che costituiscono tali dinamiche e crea, attraverso le sue opere, una riscrittura delle strutture di potere, svincolando l’immagine della donna dalla classica rappresentazione come oggetto del desiderio. Uno degli esempi più significativi di questa poetica è la serie dei Untitled Film Still (1977-1980), dove l’artista immortala, tramite la rappresentazione di fotogrammi, i cliché femminili più diffusi nella storia del cinema e nella cultura occidentale. Sebbene Cindy Sherman dichiari che gli Untitled Film Stills non abbiano un’intenzione direttamente femminista, queste immagini sono il veicolo di una critica forte alla costruzione del ruolo della donna, dove ogni scatto diviene una profonda riflessione sullo sguardo voyeuristico, sulla sua prevaricazione e sulla passività che impone al corpo femminile. Ne sono tre esempi le opere Untitled Film Still #38 (1979), Untitled Film Still #2 (1977) e Untitled Film Still #81 (1980). Un altro lavoro che esplicita una critica nei confronti del sistema del mondo contemporaneo è Untitled #130 (1983), in cui l’artista indossa un abito (Jean-Charles de Castelbajac) mentre poggia con il suo corpo su un lato, in una posa esasperata che suggerisce una sofferenza interiore. Ancora, con Untitled #269 (1992), Sherman fotografa una composizione di manichini femminili, estremizzando la relazione tra femminile e l’immagine artificiale della bambola. In Untitled #555 (2010/2012) la figurazione del clown è un messaggio potente che l’artista sfrutta grazie al suo simbolismo: la sua presenza evoca la possibilità di poter divertire, ma al contempo provocare inquietudine nell’osservatore, rappresentando l’ambivalenza per eccellenza tra apparire ed essere sé stessi.