Tracey Emin

Londra, 1963

Artist's biography

Tracey Emin è nata a Londra nel 1963 dove tutt’oggi vive e lavora. La sua arte è nota per essere legata a doppio nodo con la sua biografia. Credendo fermamente che avere segreti sia una cosa pericolosa, l’artista apre al mondo il vaso di Pandora delle sue emozioni. La sua onestà è disarmante: ciò che può sembrare esibizionismo gratuito non è altro che il tentativo di comprendere e scendere a patti con i traumatici eventi che hanno segnato la sua vita. “Nel 1992 m’iscrissi a un corso di filosofia che mi fece capire molte cose sull’arte contemporanea mentre prima tutto quello che potevo immaginare erano Edvard Munch e gli affreschi bizantini, Giotto e il primo Rinascimento. La mia mente aveva smesso di lavorare. Non c’era niente di artistico che potesse riempirla ma, dopo il corso di filosofia, nella mia mente si aprì un grande spazio che non avevo mai esplorato prima e realizzai che qualsiasi cosa poteva essere arte. Si tratta della convinzione insita in ciò che fai, è l’essenza del suo percorso di provenienza, quindi è più come un’idea concettuale, anche se poi i miei lavori non hanno sembianze concettuali. Non credo abbia senso fare qualcosa che è già stato fatto. Se hai un messaggio da dare e vuoi essere ascoltato, devi trovare un modo di comunicare che appassioni il pubblico e per me non ne sarebbe valsa la pena se avessi fatto qualcosa che era già stato fatto 50 volte. Sono dovuta scendere a patti con il mio fallimento come artista. E l’artista che provavo ad essere era quello tradizionale, in cui facevo davvero schifo. Dovevo trovare la mia strada. Quindi parlo di esperienza personale…la maggior influenza nella mia vita è la mia vita stessa, non quello che faccio quotidianamente ma ciò che per me ha un senso nel mondo. Perché, ciò che il tuo lavoro diventa, che ti piaccia o meno, è la celebrazione della tua personalità, per via del tuo centro autobiografico e del suo perseguimento”. In collezione di Giuseppe Iannaccone sono presenti due opere realizzate da Tracey Emin, differenti per tecnica e per tematica affrontata. In Suicide, un piccolo disegno del 1999, emerge una forte componente emozionale data da linee veloci e contorte che delineano una figurina nuda il cui volto è stato cancellato con un grafismo violento a causa della morte brutale e auto inflitta del soggetto protagonista. La seconda I’ve Got it All (2000) è una polaroid di grandi dimensioni, che raffigura Tracey Emin con le gambe aperte, mentre spinge il denaro verso i suoi organi genitali. Ancora una volta utilizza la sua vita come catalizzatore per la sua arte, portando l’attenzione sulla sua difficile situazione in cui il sesso, il successo e il denaro vanno a braccetto. Le dimensioni originali di una polaroid probabilmente non erano abbastanza per enfatizzare il concetto che da il titolo all’opera e per questo motivo l’immagine viene sproporzionata per creare l’impatto. “Sto indossando un abito di alta moda firmato Vivienne Weswood che ha realizzato apposta per me e ho tutte queste monete straniere che escono fuori tra le mie gambe. Questo lavoro è sulla fecondità e dice che anche se mi sembrava di avere tutto, non avevo proprio niente. Tutte le cose che pensi che il successo inizi a portare […] io non le ho provate”.