Antonietta Raphaël

Artist's biography

Antonietta De Simon Raphaël nata a Kovno in Lituania, nel 1895 o 1900 è morta a Roma nel settembre 1975. “Mario Mafai come tutti i romani era pigro, la mattina si alzava tardi, mentre io che venivo dalla Lituania e cioè dal freddo la mattina mi alzavo presto, alle cinque, e me ne andavo a dipingere al Colosseo, all’arco di Settimio Severo, al Palatino e trovavo molte volte Scipione che dipingeva anche lui alla luce della prima alba. […] Erano affascinati dai miei racconti, dalle mie esperienze artistiche: ero stata a Parigi prima di venire a Roma, quindi avevo visto quello che facevano i pittori francesi in quegli anni […]”. In collezione Iananccone vi sono numerose opere, tutte pittoriche del periodo 1928-1929, in particolare una piccola tavola che ritrae il paesaggio romano da una visuale privilegiata, l’ultimo piano di un palazzo di stile umbertino in via Cavour, al civico 325, dove Antonietta si era trasferita con Mario Mafai e la piccola Miriam sul finire del 1927. Un’arte “eccentrica e anarcoide”, secondo Roberto Longhi, che coniò la celebre espressione “Scuola di via Cavour”, dall’indirizzo dell’abitazione della coppia di artisti, individuando nei loro lavori l’avvio di una nuova tendenza. Dallo spazioso terrazzo, poi distrutto dalle demolizioni mussoliniane, si leggono “un profilo superiore del Colosseo e i contorni degli alberi del Palatino” che Raphaël traduce in maniera autentica e personale, non dimenticando tuttavia quel bagaglio di esperienze visive che aveva collezionato lungo i suoi viaggi, dalla tradizione dell’Europa orientale alla più aggiornata pittura francese. Gli edifici si affollano sulla tavola, distinguendosi l’uno dall’altro grazie a una spessa marcatura nera. Natura e architettura quasi si intersecano nell’assenza di prospettiva: la macchia scura della vegetazione si sovrappone ai rossi e alle terre bruciate dei palazzi, in un tenero abbraccio fra il pittoricismo del paesaggio e l’affascinante storia delle rovine. La medesima veduta aveva ispirato Mafai qualche mese prima nel Paesaggio dalla terrazza e nella Veduta dal balcone di Via Cavour. Nella galleria di paesaggi e scorci romani colti da Antonietta Raphaël passeggiando al tramonto con Mario Mafai va inclusa anche un’irreale rappresentazione dell’Arco di Settimio Severo. I piloni che sorreggono l’architrave sembrano bidimensionali: rendono l’arco quasi un giocattolo e lo spogliano della sua imperiale maestosità. Dietro il monumento si apre una Roma intensa e avvolgente, col suo orizzonte tinto di un rosso bruciante. È la Roma che Raphaël vede con i suoi ingenui occhi di straniera, libera dalle costrizioni visive e dal peso della tradizione e delle accademie, come scrisse Corrado Pavolini recensendo la collettiva del 1929 alla Camerata degli Artisti di Piazza di Spagna: “La Raphaël sostiene il peso terribile di un riferimento così glorioso con una semplicità innocente da primitiva”, dipingendo “l’Urbe come la vede, col suo temperamento cioè e la sua educazione”. Alle parole del critico si unì Alberto Francini, per il quale “niente potrebbe esserci di più internazionale del dipingere della divertente signorina Raphaël, che in questa esposizione si è accaparrata ogni briscola”. In collezione Iannaccone vi è anche Natura morta con Chitarra sempre del 1929 dove la pittura vive gremita di “motivi”: la chitarra, il drappo, la carta da gioco e lo spartito che si intersecano come in un racconto di una leggenda chassidica. Un’opera magica, che ricorda l’arte antica ma che profuma di vita moderna dove a farla da padrona c’è la voglia maniacale di Antonietta di mettere in risalto i dettagli. Nel 1931 lascia le figlie con Mario a Roma e parte per un breve soggiorno nella Londra della sua infanzia. E’ qui che dipinge un’altra splendida tela: Yom Kippur in the sinagogue che racconta in una lettera al suo amato. “Caro Mario… sto facendo una cosa molto interessante; t’ho già scritto un’impressione della Sinagoga in Yom Kippur sera; credo che sarà una cosa molto bella ma è terribilmente difficile. Vorrei che tu fossi qui per consigliarmi; perché si tratta della prospettiva dell’interno e con le teste, teste, teste, teste, piccole e piccolissime ma ciascuna deve avere la sua espressione. Le prime teste mi era difficile e quasi volevo abbandonare l’idea, ma dopo qualche giorno mi è diventato più chiaro e comincio a vedere teste in basso e in alto, teste in profilo, teste di tre quarti, ognuna esprime un certo dolore, un desiderio di pregare ed essere perdonato. C’è una figurina in distanza molto mistica, credo che è la più bella di tutte. Finora ho entrato nella piccola tela 22 teste e figure. Sono sicura Mario mio che tu mi credi una pazza. Ma io ti dico se questo sarà un fallimento, eppure avrò imparato moltissimo”.