Fausto Pirandello

Artist's biography

Calogero Fausto Pirandello è nato a Roma nel giugno 1899 dove è morto nel novembre 1975. Figlio del primo premio Nobel della Letteratura, Luigi Pirandello, nel 1928, insieme all’amico Capogrossi e alla futura moglie Pompilia, decise di rifugiarsi a Parigi per trovare nuovi stimoli su cui lavorare. “Nel gran trambusto parigino l’immaginazione del pittore rimaneva ancorata alle cose più consuete, quelle che gli cadevano come per caso sotto lo sguardo”, come accade nella natura morta in collezione dove gli oggetti sembrano “chiamati a raccolta senza una scelta, se non quella cromatica”. La lettera poggiata sul tavolino, in un angolo del suo studio in rue Bardinet, è con ogni probabilità quella che Luigi Pirandello gli spedì appena venne a conoscenza della “fuga” a Parigi del figlio Fausto, quasi l’artista volesse rispondere con la pittura ai moniti paterni: “Ora tu parli d’esilio, parli come uno sconfitto, e della cattiveria dei tuoi colleghi, e ti lamenti della tua sorte: Tu, caro Fausto! Della tua sorte! Sei libero, pensa! […] Lavora, lavora e basta! Vuoi andare a Parigi? Vacci, ma non con codesto animo! Vacci per lavorare e per divertirti. […] Bisogna che tu vinca codesta scontentezza di te, e l’unico mezzo di vincerla è di liberarti di tanti sterili tentativi”. Sul finire degli anni trenta, rientrato a Roma, Pirandello apre con le Spiagge un nuovo corso, di certo una delle sue espressioni più interessanti e moderne. L’artista reinventa queste composizioni e se ne serve come pretesto per descrivere la sua visione dell’essere umano. Terre e spiagge bruciate dalla guerra dipinte su tavole di legno, colme di figure dalla forma disumana, ammucchiate, quasi in preda ai crampi, la cui carne è come un peso dice il collezionista “…Ninfe terragne che non sono certo della corte di Diana. La terra ch’esse abitano, è sovente, come una landa che il sole arde e ingrigisce. Più che una luce, un’afa, un vapore la avvolge, dove i colori si stemperano, che paiono di pastello e la spatola tratta come un intonaco: quei bianchi di gesso, quei grigi di argilla secca e di cenere, quei rosa delicati e quei bruni di terra”. Nel 1942, obbligati dalla guerra che in quegli anni imperversava in Europa a rifugiarsi ad Anticoli Corrado e a tenere chiusa “la finestra di casa con persiani scuri tendine e sopraporte (e i bombardamenti come si sa ne ruppero i vetri)”, Pirandello ricercò i suoi soggetti fra le mura di casa, ai quali chiedeva di “interpretare le sue stesse angosce, i turbamenti esistenziali, straniamenti e trasfigurazioni assunti a nuovi miti e nuovi riti di ogni giorno”. I protagonisti di una delle tavole in collezione ha come protagonisti la moglie Pompilia e i due figli, Pierluigi e Antonio. Pirandello li ritrae nella loro quotidianità, senza gli abiti buoni della domenica e lontani dalle pose convenzionali dei salotti romani. Chiusi in una composizione in cui lo spazio è serrato e quasi privo di prospettiva, quello che più sembra interessare all’artista sono le fisionomie dei volti da cui traspare una assenza di comunicazione, un’assoluta fame di parole e di gesti. È la madre, con quella mano protesa verso il figlio più piccolo, a lasciar sperare in un attimo di tenerezza, nonostante l’apparente durezza dello sguardo.