Gianfranco Ferroni

Livorno, 1927 – Bergamo, 2001

Artist's biography

Gianfranco Ferroni nato a Livorno nel 1927 è morto a Bergamo nel 2001. “E' stato tra i primi artisti che agli inizi della mia collezione, mi ha insegnato a conoscere ed avere rispetto per la pittura, per il silenzio, per la luce e per il realismo. Un realismo diverso, originale, che non si limitava a riprodurre la figura, bensì a descriverne la sensibilità, l’umanità, ponendo l’uomo con i suoi bisogni, le sue gioie e le sue angosce al centro dell’arte. E sono ancora oggi, passati ormai vent’anni, che quelle stesse sensazioni mi guidano alla ricerca di opere di giovani artisti contemporanei. Il mio primo incontro con il Maestro avvenne nel suo studio di Via Balbo. Scesi in un sottoscala ed entrai in un luogo buio e davvero poco pulito. Avevo letto da qualche parte che questo era il suo tempio dove compiere riti. I miei occhi che velocemente osservarono la stanza ebbero un’impressione completamente diversa. A me sembrava un luogo tormentato. Una brandina in un angolo dove certamente aveva mangiato, fumato e dormito; un tappeto così intriso di polvere e scolorito da far impressione ai più e un pavimento che completava una stanza certamente più simile ad una cella di isolamento che ad un tempio. Mi accolse un uomo alto e magro che nei tratti mi ricordava un cinese. I capelli sembravano bagnati e stavano appiccicati al viso, gli abiti erano scuri e un po’ trasandati. Aveva un pacchetto di sigarette Marlboro stretto in quelle mani da pianista, impossibili da non notare: lunghe, affusolate e scheletriche. Appariva schivo, ma al tempo stesso molto deciso. Mi fece a malapena accomodare dicendomi che non aveva nulla da farmi vedere. Mi colpì il modo in cui si muoveva all’interno della stanza fumando in continuazione come se fosse in attesa di qualcosa. Cercai di sciogliere il ghiaccio chiedendo informazioni sull’opera che avevo appena comprato, ma capii subito che non era uomo di grandi parole, non amava parlare e dilungarsi troppo in generale, figuriamoci commentare le sue opere e ascoltare i miei deliri da collezionista. In quei momenti mi venne alla mente una citazione di Carrieri che cadeva a fagiolo: metteva le orecchie in tasca. Dopo il silenzioso pranzo all’Arci Bellezza, interrotto soltanto dal continuo rumore dell’accendino che dava fuoco alle sue sigarette, me ne tornai a casa e durante il tragitto continuai a pensare al nostro incontro e a dove avevo già visto quello studio, avevo la sensazione di aver vissuto un de-jà vu e come per magia mi tornò alla mente un autoritratto del ‘77, Io seduto nella stanza, che vidi certamente riprodotto su qualche catalogo. Quel modo di ritrarsi senza autocelebrarsi con gli abiti da lavoro e le mani a penzoloni sopra le ginocchia, quel filo elettrico che correva silenzioso lungo il pavimento perfettamente riprodotto mattonella per mattonella e quell’inseparabile pacchetto di Marlboro buttato a terra circondato da mozziconi di sigarette consumate, non erano però la semplice rappresentazione del suo vivere quotidiano, ma un vero e proprio inno a ciò che non si vede, al lento logorio dell’uomo in una società dominata da angosce e frenesia. La prospettiva del pavimento altro non era che la rappresentazione di una via di fuga verso la libertà dell’individuo e il gioco di luci e ombre mi fece pensare alla vita e alla morte. Ecco chi era Ferroni, un genio, uno che parlava con la pittura. Un uomo che sente come e prima di tutti noi le emozioni che il contesto contemporaneo determina. Il vuoto non vuoto delle sue opere è così denso di significati che difficilmente si riesce a distogliere lo sguardo dalle sue tele, in attesa che qualcosa accada. Fu quel giorno che decisi che avrei inseguito le sue opere più significative anche in capo al mondo. E così fu."