Andro Wekua

Artist's biography

Andro Wekua nasce a Sokhumi in Georgia nel 1977 e attualmente vive e lavora tra Zurigo e Berlino. Formatosi tra 1986 e 1991 presso la National Art School, nella sua città natale, prosegue i suoi studi prima a Tbilisi e poi a Basilea dove, tra 1995 e il 1999, frequenta la Visual Art School. La sua arte, fortemente autobiografica e legata alle vicende storiche che hanno interessato la Georgia dopo il crollo dell’Urss, diviene il mezzo per raccontare la sua storia, come una sorta di mito artistico. Sul finire degli anni ottanta, dopo la morte del padre, l’artista è costretto con la madre a lasciare il suo paese per sottrarsi alla guerra e alla successiva pulizia etnica perpetrata nella regione del Abkjhazian. Oggi l’area, indirettamente occupata dalla Russia, ha trasformato Sokhumi, ex-cittadina balneare, in una città fantasma, mezza abbandonata e fatiscente. Attraverso le sue esperienze e i suoi studi Wekua è diventato un artista poliedrico che lavora con diversi media: dalla pittura al collage, dalla scultura in cera o ceramica alle installazioni video. Tutti i suoi lavori esprimono un senso di tragedia personale, sono cupi, ansiogeni, parlano di alienazione e solitudine se non di morte. Le tonalità sono sempre fredde, dal gelido blu al viola che ricorre spesso. I personaggi dei suoi lavori, realmente esistiti, vengono direttamente ripescati da album personali dove, insieme alle fotografie di famiglia Wekua conserva ritagli di giornali, libri e cartoline attraverso i quali riesce a mettere in relazione, con fredda eleganza, il versante figurativo e l’astrattismo geometrico, come nel caso della scultura dal titolo Three Times 3. La figura umana quando viene trattata è sempre menomata, deforme, con gli occhi sfigurati o altri particolari anatomici anomali. Woman ad esempio è caratterizzata da pennellate nervose e corpose, inclini ad una resa espressionistica del soggetto che, pur essendo una donna, perde ogni tipo di calore in seguito ai colori freddi che Wekua impiega, come il viola e il marrone-nero dello sfondo. Come sempre, anche in questo caso sfigura il volto del suo soggetto, con uno sfregio all’altezza del naso. Wekua sceglie l’incompleto, l’imperfetto per dimostrare attraverso queste mancanze che l’uomo non è sempre capace di ricordare tutto. I “manichini”, altra ossessione dell’artista, che nell’arte passata venivano tradizionalmente intesi come una forma di ossequio o di commemorazione, nella versione di Wekua, a metà tra bambini e teenagers a cui manca qualcosa, suscitano pensieri di morte, presenza- assenza, alienazione e resurrezione. Quello presente in collezione Iannaccone dal titolo Shoulders Grow As Sun Goes Down In My Belly si fa notare per un tubo di ferro conficcato nello stomaco proprio al centro del tramonto che decora la canotta indossata dal giovane ustionato. Sembra che l’artista, attraverso questi simboli voglia rappresentare il grosso cruccio che lo tormenta: fortemente affascinato dall’idea di cosa sia potuta diventare la sua città è desideroso di raccontarla e riflettere sull’importanza dei ricordi e della memoria, descrivendola come “un palco vuoto tra due atti”.