John Currin

Boulder, 1962

Artist's biography

John Currin nasce nel 1962 a Boulder negli Stati Uniti e consegue prima la BFA presso la Carneigie Mellon University ed in seguito la MFA presso la Yale University. Attualmente vive e lavora a New York. Subisce l’influenza di numerose e differenti correnti. Nelle sue opere infatti si ritrovano citazioni dei dipinti ad olio del Rinascimento, delle pubblicità delle riviste anni ‘50 e della politica contemporanea. Noto per i suoi ritratti femminili, le donne di Currin incarnano spesso una bellezza deformata, quasi una parodia del “politicamente corretto”. Quello che colpisce della sua pittura oggi è la straordinaria padronanza della tecnica ad olio, messa a servizio di uno stile calligrafico e minuzioso. Con queste immagini affronta tematiche sociali spesso provocatorie, dalla sessualità alla pornografia, o banali scene di vita quotidiana sempre filtrate da uno sguardo comico ed ironico che mette in scena l’aspetto più grottesco della civiltà contemporanea. Quando gli fu chiesto nel 2003 se il suo lavoro fosse cominciato come una sorta di reazione, rispose: “Si, e volutamente. Il contesto in cui mi trovavo ad operare era quello dei primi anni novanta, quando era molto semplice servirsi della libertà di ricezione artistica delle persone, che si sentivano responsabili di rispondere positivamente alle differenti forme di installazione e perfomance. Ed era molto semplice ridere della volontà di essere progressista”. In collezione Iannaccone vi sono due opere, un disegno senza titolo del 1995 e un carboncino del 2001 che rappresenta una giovane, dal nome Anita Joy, che inizialmente si pensava fosse persona vicina all’artista la fidanzata, la moglie o un'amica. Tuttavia, non solo le ricerche effettuate non hanno trovato riscontro, ma non hanno svelato l’identità della misteriosa ragazza. Si è quindi volta l’attenzione a ritratti fotografici di celebri donne che negli anni ‘50 e ‘60 popolavano le riviste americane e che sono fonte d’ispirazione nell’opera di Currin. Ci si è così imbattuti in un’immagine della bella, quanto popolare, Anita Ekberg che in quegli anni girò in Italia, “La dolce vita”, opera di Fellini del 1960, tra le più celebri della storia del cinema. In questa fotografia l’espressione, il sorriso e la posa forzata dell’attrice colta nella sua “aurea divina” richiamano, in modo impressionante, il volto della fanciulla, a cui forse non a caso è stato dato il nome di Anita. Joy, che in inglese indica gioia, felicità e letizia sono sentimenti che non sembrano appartenere al volto disegnato e che, oltre a non essere nella maggioranza dei casi frutto di successo, ricchezza e celebrità – elementi tipici del mondo e dello stereotipo hollywoodiano, a cui la Ekberg apparteneva e di cui come icona ne divenne promotrice – difficilmente vi convivono. Siamo quindi, forse, in presenza di un velato ma quanto mai palese gioco di parole con cui l’artista si diverte, irride ed attacca la società contemporanea ed i valori di cui questa si fa portatrice.